Benessere e psicopatologia
Fra benessere e disagi, grandi e piccoli, esiste una linea di demarcazione assai precisa. Secondo Adler è riferibile alla capacità di sentire pienamente l’altro e gli altri nella propria vita. Il modo con cui ci mettiamo in relazione, il rispetto che sappiamo vivere per gli altri, la qualità dell’empatia rappresentano le linee discriminanti fra benessere e disagio del vivere. Sentire la profonda rilevanza che hanno nella nostra esistenza le persone che ci sono vicine, avvertire la complessità della vita di tutti, cogliere le reti sociali a cui apparteniamo e in cui tutti sono nodi fondamentali fanno parte degli obiettivi cui aspirare per poterci sentire profondamente sereni. È un lungo percorso che dobbiamo percorrere nella nostra vita e nella nostra maturazione e che inizia nei primi anni di vita. La qualità delle cure genitoriali, l’educazione al riconoscimento dell’altro, le nostre riflessioni ci porteranno, se vogliamo, a questi obiettivi complessi, profondi e difficili.
Adler parlava di senso comune per indicare la capacità di condividere la realtà e di far parte di relazioni, di piccole e grandi comunità. Uscire dal senso comune, da questa condivisione della realtà indica l’isolamento, il narcisismo e, anche, estremizzando, la chiusura psicotica.
In qualche modo, a volte difficilmente riconoscibile, insieme ai disagi troveremo sempre una percezione distante o negativa degli altri, magari una sottile manipolazione, una mancanza di rispetto, spesso la paura dell’altro. Così posta la questione appare semplicistica considerando la vastità e la complessità di ogni persona, ma sappiamo che il discrimine è quello.
Certo, l’estrema capacità creativa di ogni persona, le tante esperienze della vita, gli incontri e le relazioni infinite, i piccoli e grandi dolori creano una vastissima variabilità dei vissuti e dei disagi e delle forme con cui si esprimono, ma al fondo troveremo sempre una distanza o una diffidenza o un uso dell’altro.
È bene considerare e ricordare che il nostro stile di vita è in gran parte non consapevole, vale a dire per niente o pochissimo percepibile proprio a noi stessi. Possiamo pensare di avere ottimi rapporti con gli altri, mentre in realtà siamo mossi dalla paura o dal bisogno di dominare o manipolare.
Comunque sia, fin da piccoli possiamo albergare sentimenti o modalità di rapporto con gli altri improntati alla distanza o all’uso degli altri da cui dobbiamo salvaguardarci intensamente, pur essendo fortemente attratti e desiderosi di relazione.
Se la qualità della relazione con l’altro è il riferimento sul quale valutare anche il benessere e il malessere psicologico di ognuno di noi, i motivi per cui questo succede sono da ricercare in una grande varietà di situazioni. Fondamentalmente possiamo riferirci ai vissuti infantili di inadeguatezza più o meno profonda da cui deriveranno tentativi di superamento delle difficoltà o strategie di salvaguardia rispetto a collaudi vissuti come terribili sul piano psicologico. Allora potremmo osservare piani di vita improntati ad una supervalutazione di sé nel tentativo di superare l’inferiorità o veri e propri complessi di inferiorità.
Questi tentativi, in gran parte inconsci, produrranno comunque isolamenti relazionali, atteggiamenti egocentrati, timori profondi di affrontare i compiti della vita nella grande varietà di forme in cui si esplica il malessere psicologico. È bene ricordare che su tutto agisce il Sé creativo che si esplica nella grande soggettività di ognuno di noi e che ci rende unici e irripetibili in tutte le nostre produzioni personali sia in positivo che in negativo.
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