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Il concetto di sé/stile di vita
Il sé nell’approccio adleriano viene definito “stile di vita”. E’ di tipo costruttivista (già nel 1927 Adler coniava il termine di sé creativo) e assolutamente relazionale. Alla luce anche delle attuali evoluzioni epistemologiche si può affermare che considera l’uomo capace fin dalla primissima infanzia di autoorientarsi nella vita ed è alla ricerca del suo significato e di spiegazioni accettabili su di sé e sull’esistenza. La Psicologia Individuale adleriana è una teoria che postula questa capacità presente fin dalla nascita e in grado di utilizzare costruttivamente i dati biologici e ambientali al servizio della propria opinione sul mondo.
Né i dati biologici, né i dati ambientali sono prioritari come poteva esserlo per le vecchie dispute, quanto la capacità costruttiva e creativa della persona che supera il biologico e l’ambientale poiché utilizza creativamente e originalmente questi dati per orientarsi nell’esistenza.
Non si tratta di evolversi secondo tracciati istintuali iscritti nella nostra biologia o per determinazioni provenienti dal proprio ambiente, per lo meno solo in parte, ma secondo la propria personale visione della realtà. Prioritaria è la propria opinione sul mondo, il proprio stile e piano di vita.
Per Adler l’uomo vive e si nutre di “opinioni” sulla base delle quali struttura la propria vita e i propri stili cognitivi ed emotivi. “Noi viviamo in un mondo di significati” è la frase di Adler che caratterizza questa parte del suo pensiero.
In più, e questo è fondante nella psicologia adleriana, la persona è assolutamente inserita nel suo contesto sociale, ne fa parte integrante e quindi, afferma, non è possibile capire nessuno se non lo si considera nella sua ecosistemicità essenziale.
La stessa distinzione fra benessere e disagio, fra “normalità” e patologia è funzione non tanto della struttura di personalità, comunque assolutamente simile in tutti nei tratti essenziali, quanto della rilevanza che la persona assegna alla sua dimensione sociale, al suo sentirsi appartenente alla comunità umana, alla sua determinazione effettiva di cooperare o meno con gli altri e per gli altri. Così. I cosiddetti “normali” sentono la loro appartenenza alla comunità, empatizzano e accettano la convivenza cooperativa, mentre i “nevrotici” se ne distaccano per le proprie mete individuali e gli psicotici negano del tutto la stessa realtà comune in un definitivo distacco assoluto con il mondo degli altri.
Il sé adleriano è quindi relazionale in senso ampio in quanto l’altro è assolutamente costitutivo del senso di identità che si struttura su basi biologiche innate, ma che si costruisce ed evolve nella relazione e nell’integrazione con gli altri del proprio ambiente di vita. Per Adler è basilare, per capire le persone, ricostruirne minuziosamente la costellazione familiare dei primissimi anni di vita, così come l’ordine nella fratria e l’atmosfera culturale in cui si è evoluto il percorso personale nell’esistenza.
In questo senso anche l’identità di genere non prevede “destini” o costituzioni: uomini e donne partecipano alla pari all’esistenza, eventuali differenze sono fondamentalmente culturali e usate per garantirsi superiorità fittizie, magari utilizzando leggi e diritti utili al mantenimento del potere.
La mente umana ha anche caratteristiche di unitarietà. Per Adler un particolare orientamento personale inserito nel piano di vita individuale invade necessariamente qualsiasi attività, pensiero, emozione e comportamento umano. Da qualsiasi frammento di questi fatti mentali è quindi possibile risalire all’orientamento da cui discende. Ciò è particolarmente rilevante nella ricostruzione clinica dello stile di vita individuale. Svelarne alla persona gli aspetti consapevoli e inconsapevoli è il primo passo per operare, se scelto, nuove determinazioni e nuovi orientamenti personali.
Lo stesso concetto di inconscio è molto particolare nella Psicologia Individuale, comunque legati all’istanza sociale innata. Come vedremo meglio in seguito, per Adler ogni persona tende inesorabilmente al superamento del suo stato di inferiorità verso forme di superiorità secondo un dinamismo “alto/basso” personalizzato, ma ubiquitario. Adler ritiene che inconscio sia tutto ciò che riguarda questi ideali e queste spinte alla superiorità in quanto inaccettabili dai sentimenti innati di socialità e quindi ritenuti impresentabili anche a se stessi.
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