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L'aspirazione alla superiorità
Ognuno di noi fin dalla nascita è alla ricerca del superamento delle proprie inadeguatezze con artifici più o meno funzionali ed efficaci. A seconda delle situazioni che si trova a vivere e alla soggettiva idea che se ne fa, tenterà continuamente di superare (compensare) il vissuto soggettivo di debolezza.
Gran parte dello stile di vita personale permane in una dimensione inconscia, per cui la stessa persona non riesce, il più delle volte, a capire i suoi stessi orientamenti pur continuando a perseguire scopi spesso anche molto disfunzionali ed inefficaci.
L’approccio adleriano alla comprensione dell’uomo può essere sintetizzato anche in riferimento ai bisogni di valore personale. Questa psicologia ha da sempre affermato e messo al centro della sua teoria la ricerca incessante di potenza, l’aspirazione alla superiorità come superamento dei sentimenti di inadeguatezza esistenziale. Secondo questa ottica ogni persona, fin da neonato, si orienta nella vita cercando di costruire un proprio e stabile senso di sicurezza sulle proprie capacità alla stregua di un esploratore che deve attraversare una giungla pericolosissima. Servono armi e bagagli efficaci, pena un pervadente sentimento di paralisi imminente e di prossima fine.
Fondamentale , in questo senso, risulta l’immagine di sé che viene a costituirsi. Per Adler il bambino esperimenta molto precocemente la propria profonda fragilità e inadeguatezza e cercherà di dotarsi delle competenze necessarie. Accade, molto frequentemente, che problemi fisici, errori educativi, situazioni problematiche familiari, disattenzioni costanti, eccessi di protezione o di aspettative inducano il bambino a convincersi di essere troppo inadeguato, molto più di altri. Si struttura in questi casi quello che viene chiamato il complesso di inferiorità. Vale a dire un’immagine di sé, di solito errata, molto scoraggiata con la quale dovrà fare i conti per tutta la vita, poiché considerata oggettiva e concretamente veritiera. Attraversare la giungla completamente nudi e disarmati è un’impresa terribile, ma da cui non è possibile sottrarsi.
Da queste errate e angoscianti convinzioni, il bambino prima e l’adolescente e l’adulto poi, cercheranno incessantemente di riemergere attivando reazioni di compensazione estremamente variabili e personali comunque orientate alla ricerca di sistemi di valorizzazione efficaci. La creatività personale dirigerà gli sforzi in questo senso, anche attivando linee di superamento dell’inadeguatezza esperita assai contorte e disfunzionanti, spesso controproducenti, quasi sempre inconsapevoli.
Al centro degli sforzi umani non ci sarebbe, quindi, né la sessualità o il piacere o il senso del vivere, quanto la battaglia per sentirsi adatti alle prove della vita, partendo dalla fragilità neonatale e dalla inconsistenza delle nostre risorse, attraverso l’infanzia, l’adolescenza e poi i grandi percorsi di autonomia e la presa di responsabilità piena verso la professione, gli affetti e al sociale.
Per questo ognuno di noi esplora e sceglie una strategia che ci rassicuri sul nostro valore. Strategia che può essere valida o meno, l’importante è che ci appaia tale. Una volta scelta, quasi sempre inconsciamente, continueremo a perseguirla anche tutta la vita piegando ogni esperienza, ogni elaborazione, ogni pensiero o emozione al raggiungimento dell’obiettivo. E se anche risulterà disfunzionante procederemo su questa linea malgrado i dolori, i fallimenti, le delusioni. Oppure cercheremo di proteggerla dai collaudi della vita erigendo barriere difensive e scatenando le fobie e le angosce in genere.
Se proprio queste strategie si dimostreranno, poi, inefficaci a lungo e in tutte le situazioni potranno allora apparire le depressioni, semplificatoriamente intese come sconfitta del nostro piano di vita manifestamente incapace di affrontare le prove dell’esistenza.
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